Il Corriere durante gli anni Settanta, Ottanta e Novanta del Novecento
11 febbraio 1968 diviene direttore il giovane Giovanni Spadolini, giornalista e storico, già direttore del «Resto del Carlino» e che si era formato professionalmente nel Secondo dopoguerra al «Il Messaggero», allora diretto da Mario Missiroli. A livello sociale e politico il quotidiano si trovò in quegli anni ad affrontare e dare copertura alle contestazioni e ai fermenti socio-culturali degli anni Sessantotto, oltre che alla nascita delle istituzioni regionali, utilizzando un’impostazione generalmente critica verso le mobilitazioni, che non raccolse consensi né all’interno del variegato mondo della sinistra alternativa e studentesca né tra il pubblico moderato e conservatore. L’attentato a Piazza Fontanta del dicembre 1969 fu un altro evento segnante per il quotidiano milanese, che si caratterizzò per la fiducia espressa verso le posizioni ufficiali degli apparati polizieschi, in un contesto giornalistico che invece in alcune sue parti invitava a nuove pratiche utili per un ripensamento democratico dell’informazione e che suniva le influenze dei fremiti della contro-informazione. Giornalisti rappresentativi di questa fase sono Franco Di Bella (capocronista e poi redattore capo dal 1971) e Giorgio Zicari.
Da un punto di vista economico, il giornale di proprietà della famiglia Crespi non attraversava un momento facile e anche questo condusse alla scelta di licenziare nel 1972 Spadolini, apertamente osteggiata tanto dal comitato di redazione quanto da Indro Montanelli, tra i nomi più riconoscibili all’interno del quotidiano. Spadolini fu sostituito alla direzione da Piero Ottone, direttore gli anni precedenti de «Il Secolo XIX» e corrispondente durante gli anni Cinquanta del quotidiano milanese, che impresse una svolta politica a sinistra, che allontanò il giornale dal centro-sinistra moderato a cui aveva guardato la precedente direzione, aprendosi a valutazioni meno preconcette al Partito comunista italiano. I cambiamenti, inoltre, riguardarono anche una certa democratizzazione interna, consentendo maggiore partecipazione agli organi di categoria, e i toni e i linguaggi, più diretti e sensibili alle manifestazioni di dissenso e alle nuove spinte culturali alternative, pur senza rinunciare alla pluralità delle voci e dei punti di vista. Le vendite, pur nella parziale perdita del pubblico più conservatore, premiarono tale indirizzo con un aumento importante.
L’andamento economico della testa rimase però complesso anche durante questo periodo, spingendo nel 1973 ad un riassetto proprietario, che attribuì la presidenza a Giulia Maria Crespi, e finanziò l’Editoriale Corriere della Sera grazie a capitali provenienti, oltre che dai Crespi, dal gruppo Fiat e da Angelo Moratti. Tali cambiamenti si riverberarono anche nella spaccatura con Indro Montanelli, che nell’ottobre 1974 venne licenziato dopo forti critiche al giornale e alla proprietà e dopo aver espresso l’intenzione di fondare un quotidiano rivale. Ma l’uscita di Montanelli e la creazione del rivale «Il Giornale» non furono l’unico grande evento del 1974: un nuovo cambio di proprietà segnò la fine definitiva del coinvolgimento della famiglia Crespi e il concentramento della proprietà nelle mani del gruppo editoriale Rizzoli, già molto attiva nel mercato dei periodici.