Siamo efficienti anche in quei giorni

Reazioni negative alla sentenza della Cassazione che equipara la sindrome premestruale a una malattia

Dettagli

Autore
Maria Latella
Data
25/4/1991
Tipologia
Commento
Testata
il Corriere della Sera
Pagina
12
Periodo
Anni Novanta
Area Tematica
Donne

Occhiello:

Reazioni negative alla sentenza della Cassazione che equipara la sindrome premestruale a una malattia

Sommario:

Le donne temono l’eccesso di tutela, «è un boomerang per le lavoratrici»
L’avvocato Fernanda Contri: «Inopportuno l’intervento della Corte» - Per Fiorella Farinelli, sindacalista della Cgil, «c’è il rischio che il lavoro femminile sia considerato non produttivo»

Articolo:

MILANO — «Non c’è, c’ha la sindrome». Grazie alla sentenza della Cassazione che legittima l’assenza dal lavoro in prossimità del ciclo mestruale, un usurato vocabolo acquista nuova valenza nel lessico del lavoratore dipendente. La Sindrome, ovvero quell’insieme di gonfiore-mal di pancia-mal di testa per secoli nascosto con vergogna e mai esibito, neanche ai tempi delle fortune femministe, assume ora piena dignità.

Che ne dicono le donne? La sentenza della sezione lavoro della Cassazione riconosce loro un diritto, quello di restarsene a casa con l’indennità di malattia, proprio come fece, quattro anni fa, Alma Poletti, l’impiegata che ha aperto il caso. La Cassazione le ha dato ragione.
Ma le donne, ora, non danno ragione alla Cassazione. Sui giudici si abbatte una pioggia di «no»: «E’ una sentenza negativa — esordisce l’antropologa Ida Magli —. Già le aziende si stancano delle maternità, se si aggiungono tutti i mesi due giorni d’assenza per la sindrome premestruale...».

«Se la Cassazione ha equiparato le mestruazioni a una malattia ha fatto un intervento inopportuno», incalza Fernanda Contri, avvocato, componente della commissione parità uomo-donna. «Una decisione paradossale» commenta l’ex campionessa di nuoto Novella Calligaris. Dagli studi Rai le attrici della «Tv delle ragazze» minacciano di dedicare una puntata alla sentenza.

Una levata di scudi, insomma. Anche, e soprattutto, nel sindacato. Fiorella Farinelli, del coordinamento femminile Cgil, dice che: «l’eccesso di tutela può far considerare il lavoro femminile non produttivo». Sul fronte opposto le fa eco Ada Grecchi, vice presidente della commissione per le pari opportunità, ma anche vice-direttore centrale del personale Enel. All’Enel lavorano diecimila donne: «Se si mettessero tutte in malattia un giorno al mese non sarei niente contenta» ammette la neo-vicedirettrice.

La Grecchi appartiene alla generazione che ha fatto carriera limitando al massimo l’esibizione di femminilità: «Ero incinta del primo figlio e finché ho potuto ho nascosto il pancione. Ho negato la mia femminilità? No, femminilità significa familiarità col dolore e anche capacità di resistenza».

Tutte donne d’acciaio? Silvia Costa, democristiana, nota per l’inflessibile tenacia, rivendica comunque il diritto alla tutela. A lei la sentenza della Cassazione non dispiace: «Mi pare che il caso al quale si riferisce fosse un caso fondato. Sono molto meno d’accordo con quelli che, quando devono parlare di mestruazione, chiamano in causa ”le lune’’». Controproducente «l’eccesso di tutela»? «Tutte le volte che si cerca di rendere compatibile lo stato di donna con quello di lavoratrice qualcuno evoca questo spauracchio. Ma, insomma, non si può far finta che la differenza non ci sia».

La differenza, già. Non è la prima volta che l’argomento colpisce i giudici. Anche prima che, grazie alle teorie di Luce Irigaray, la «differenza sessuale» diventasse un’espressione familiare. I magistrati l’hanno sempre interpretata a modo loro. Un anno fa, negli Stati Uniti, uno ha ridotto di molto la pena a un’imputata perché il reato era stato commesso in piena sindrome premestruale. Il codice penale francese riconosce la sindrome come circostanza attenuante. Ma nel 1957, in un convegno nella facoltà di giurisprudenza di Genova, un giudice spiegò alle allieve — tra loro c’era Fernanda Contri — perché era inopportuno che le donne entrassero in magistratura: «In "quei giorni" non sareste obiettive».