Più protetta la madre che lavora

Ampliate le garanzie concesse alle lavoratrici-madri dalla legge 1204/1971

Dettagli

Autore
Pierluigi Franz
Data
9/2/1991
Tipologia
Commento
Testata
La Stampa
Pagina
11
Periodo
Anni Novanta
Area Tematica
Donne

Occhiello:

La Consulta: vietato licenziare dall'inizio della gravidanza fino a quando il figlio ha un anno

Sommario:

Per 21 mesi, neppure in caso di «colpa grave», l'azienda può risolvere il contratto. Una legge del 71 prevedeva la possibilità di mandar via la dipendente in maternità 

Articolo:

ROMA. E' radicalmente nullo il licenziamento di una lavoratrice-madre nei 21 mesi intercorrenti tra l'inizio della gravidanza e il primo compleanno del figlio. Lo ha stabilito la Corte Costituzionale, accogliendo un'eccezione sollevata dal tribunale di Napoli. Sono state così ampliate le garanzie concesse alle donne dalla legge n. 1204 del 71. E', quindi, più tutelata una dipendente incinta, perché fino ad un anno dopo il parto non può essere più licenziata dal datore di lavoro. La lavoratrice madre, oltre al ripristino del rapporto illegittimamente risolto dall'azienda, ha anche diritto al pagamento di tutte le retribuzioni maturate dalla data del licenziamento sino a quella dell'effettiva riassunzione in servizio. Finora, invece, il divieto di licenziamento, che opera in connessione con lo stato oggettivo di gravidanza e puerperio, era ritenuto dai tribunali-italiani solo temporaneamente inefficace. E non si applicava nei casi di colpa grave della lavoratrice (giusta causa per la risoluzione del rapporto di lavoro), di cessazione dell'attività dell'azienda, di fine della prestazione per cui la lavoratrice era stata assunta o di risoluzione del rapporto per scadenza del termine. Protagonista della vicenda esaminata dai giudici della Consulta è Maria Coppola, una dipendente della società «Fiera». La donna era stata licenziata il 25 marzo '85 durante il periodo di gravidanza. La «Fiera» riteneva legittimo il provvedimento perché il contratto di agenzia che la legava ad un'altra impresa era stato rescisso e quindi non poteva svolgere la sua attività. Si era così verificato uno dei casi di esclusione del divieto di licenziamento posto in generale dalla legge del '71 che tutela le lavoratrici madri. Il tribunale di Napoli si era rivolto alla Consulta perché la legge del'71 non offriva alla lavoratrice un'adeguata protezione. Motivo: non privava il licenziamento dei suoi effetti giuridici, ma ne disponeva una semplice sospensione temporanea, una specie di «congelamento». Difatti, se la lavoratrice-madre, colpita dal licenziamento, pur illegittimo, avesse dovuto prendere atto del differimento dei suoi drastici effetti, ne sarebbe risultata compromessa quella condizione di tranquillità che è, invece, necessaria affinché la madre possa provvedere alle proprie cure e a quelle del bambino con ogni prevedibile conseguenza negativa sullo svolgimento fisiologico della gestazione e dell'allattamento. La Corte Costituzionale ha ritenuto fondati questi rilievi precisando che, proprio in mancanza di quella protezione, la maternità si sarebbe, paradossalmente, potuta addirittura tramutare in un pregiudizio per la posizione lavorativa della donna e, quindi, in un inammissibile ostacolo alla realizzazione della sua piena eguaglianza nel mondo del lavoro. Questa interpretazione, si legge nella motivazione della sentenza redatta dal giudice Ugo Spagnoli, «è in piena sintonia con l'art. 37 della Costituzione che impone di accordare alla donna misure speciali e più energiche di protezione necessarie a rimuovere le gravi discriminazioni che di fatto la colpiscono in relazione ai compiti Ettore Gallo, presidente della Corte connessi con la maternità e la cura dei figli e della famiglia». Per l'Alta Corte la protezione accordata dalla Carta repubblicana «non si limita alla salute fisica della donna e del bambino, ma investe tutto il complesso rapporto che nel periodo (cioè nei 21 mesi, ndr) si svolge tra madre e figlio; il quale rapporto deve essere protetto non solo per ciò che attiene ai bisogni più propriamente biologici, ma anche in riferimento alle esigenze di carattere relazionale ed affettivo che sono collegate allo sviluppo della personalità del bambino».