Una battaglia femminista

Commento sulla mancata conoscenza e applicazione della legge 1204/1971

Dettagli

Autore
Giovanni Conso
Data
16/3/1973
Tipologia
Commento
Testata
la Stampa
Pagina
1
Periodo
Anni Settanta
Area Tematica
Donne

Occhiello:

Maternità e infanzia

Articolo:

Più di un anno è trascorso dall'entrata in vigore d'una legge importantissima, appositamente dettata per la « tutela delle lavoratrici madri ». Ci sia consentita una piccola domanda: quanti sono a conoscerla? Meglio ancora: quante donne hanno saputo avvalersi sin qui dei nuovi diritti conferiti dalla legge 30 dicembre 1971 n. 1204? I movimenti femministi, tutti presi dalle prime avvisaglie della campagna per la legalizzazione dell'aborto, con l'occhio addirittura rivolto alla sua liberalizzazione, non si sono preoccupati di mettere nel giusto risalto una riforma pur tanto chiaramente diretta a rafforzare la posizione sociale della donna, vista sotto il profilo della gravidanza prima e della maternità poi. Prendiamo in esame i punti cardine della legge sulla tutela delle lavoratrici madri, tanto nel settore delle imprese private quanto nel settore dei pubblici impieghi. Le lavoratrici non possono essere licenziate nel periodo che va dall'inizio del periodo di gestazione fino al compimento d'un anno di età del bambino, salvi i casi di colpa grave o di ultimazione delle prestazioni loro affidate. E' vietato adibirle al lavoro durante i due mesi precedenti la data presunta del parto e i tre mesi successivi ad esso. Trascorso il periodo di astensione obbligatoria, le lavoratrici madri hanno il diritto di assentarsi dal lavoro sino ad un massimo di sei mesi, beninteso entro il primo anno di vita del bambino. Come si coglie agevolmente, due criteri ispiratori confluiscono nel dar nerbo a questa normativa: da un lato, la tutela della salute della donna e l'integrità del nascituro; dall'altro, hi cura del bambino nel periodo immediatamente successivo alla sua nascita. La medesima duplicità d'impostazione si ritrova in quella che rappresenta un'altra grossa novità della nuova legislazione: il diritto al cosiddetto periodo di « riposo » giornaliero nel primo anno di vita del bambino. Più precisamente, il riposo è uno solo quando l'orario quotidiano di lavoro non raggiunge le sei ore; i riposi salgono a due in tutti gli altri casi: I periodi di riposo hanno la durata di un'ora ciascuno, e sono cumulabili durante la giornata. Considerati ore lavorative agli effetti della durata e della retribuzione del lavoro, essi comportano il diritto a uscire dall'azienda. Solamente nell'ipotesi che la lavoratrice possa e voglia usufruire della camera d'allattamento o dell'asilo-nido istituito presso il luogo di lavoro, viene meno il diritto a lasciare l'azienda: anzi, in tale evenienza i periodi di riposo vengono ridotti alla metà. Purtroppo, la scarsa conoscenza di queste disposizioni da parte di chi ne potrebbe trarre personale vantaggio e la poca attenzione dedicata loro da chi dovrebbe comunque preoccuparsi di vederle prontamente attuate hanno favorito quelle forme di resistenza che non mancano mai di fronte alle innovazioni più incisive sul piano, economico e sociale: un po' per il freno opposto dai controinteressati, un po' per la vischiosità tipica della pigrizia burocratica. La lacuna più grave riguarda le norme regolamentari necessarie per dare compiuta applicazione alla legge n. 1204. Avrebbero dovuto essere emanate entro novanta giorni: ne sono passati invano molti di più. L'inconveniente è comune a non poche riforme organiche degli ultimi tempi, ma proprio per questo minaccia di diventare una triste abitudine, che pregiudica in buona parte i risultati previsti dal legislatore. Per ovviare in qualche modo ai vuoti e alle incertezze che la mancanza d'un tempestivo regolamento crea ad ogni pie sospinto, si finisce inevitabilmente con il ricorrere allo strumento delle circolari ministeriali. Così da male nasce altro male. Si tratta, infatti, d'uno strumento molto pericoloso, perché spesso non alieno da un pizzico di arbitrarietà. La legge vien fatta vivere così come la circolare ne interpreta il significato, con il rischio di sovrapporre alla volontà sovrana del Parlamento un'altra volontà non legittimata a tanto. Un tipico esempio di sconcerto legislativo è offerto da quanto una recentissima circolare dispone in tema di diritto al riposo. Le insegnanti delle scuole e degli istituti d'istruzione secondaria e artistica non ne potrebbero fruire, perché l'orario d'insegnamento raggiungerebbe al massimo le diciotto ore settimanali. Ancora una volta si dimentica che il lavoro dell'insegnante non si limita al periodo trascorso in aula: le ore dedicate alla correzione dei compiti, alla preparazione delle lezioni, all'aggiornamento scientifico sono o non sono un tempo di fatica? Ma ecco che, per riconoscere anche alle insegnanti delle scuole secondarie un qualcosa in più rispetto al passato, si va profilando il rischio della solita soluzione di compromesso. In luogo del diritto al riposo conferito dalla legge a tutte le lavoratrici madri senza eccezione alcuna, si penserebbe di dare alle suddette insegnanti una sorta di surrogato: mantenere l'orario pieno, retribuendo un'ora di più. In altre parole: l'ora di riposo continuerebbe ad essere un'ora di lavoro, ma con retribuzione doppia. Se così dovesse malauguratamente accadere, vorrebbe proprio dire che la tendenza a tradurre tutto in termini di denaro è ormai in grado di contaminare ogni aspetto del vivere civile. Anche la tutela della maternità, anche la cura dei figli. Prima che sia troppo tardi, ripristiniamo la scala dei valori: quelli veri vanno tenuti, inderogabilmente, al primo posto. 


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