Presupposizione: è d'obbligo parlare delle cause obbiettive che rendono arduo un suo effettivo miglioramento
Implicatura: Ciò di cui sì parla meno, al di là delle sempre esistenti remore del costume, è di certe questioni di fondo
Fonte enunciativa esterna E0: « La legislazione in merito risale al 1934 e al 1936 — ci ha detto l'avv Maria Luisa Zavattaro, dell'ufficio di presidenza nazionale dell'Associazione giuriste italiane — e le discriminazioni ivi indicate non hanno più motivo di esistere, erano infatti imposte un tempo dalle condizioni di un lavoro, basato sulla forza fisica, di un costume profondamente diverso. Oggi, con il progresso tecnologico, la fatica è di tutt'altra natura, grava sia sugli uomini che sulle donne, né si vedono ragioni plausibili per conservare nei riguardi delle lavoratrici maggiorenni limitazioni d'orario e divieti di lavoro notturno. Meglio sarebbe procedere ad una più moderna. ed efficace tu-, tela di tutti i lavoratori, in base a criteri di prevenzione e recupero contro il rischio, eliminando ogni discriminazione dovuta al sesso »
Quando si esaminano le ragioni che attualmente condizionano il lavoro della donna, è d'obbligo parlare delle cause obbiettive che rendono arduo un suo effettivo miglioramento, prima fra tutte la mancanza di strumenti idonei per una qualifica professionale o una riqualificazione a mano a mano che mutano le tecniche; è inevitabile parlare della carenza di servizi sociali, adatti a sollevare la donna lavoratrice dalla sua duplice fatica in casa e fuori, così come degli orari e di un'auspicata graduale diminuzione dei tempi di lavoro. Ciò di cui sì parla meno, al di là delle sempre esistenti remore del costume, è di certe questioni di fondo che contribuiscono a discriminare, sul piano legislativo, il lavoro femminile. Abbiamo già accennato a certe regole, ormai anacronistiche, che operano distinzioni per gli orari serali e per alcuni 'avori, fra uomo e donna. « La legislazione in merito risale al 1934 e al 1936 — ci ha detto l'avv Maria Luisa Zavattaro, dell'ufficio di presidenza nazionale dell'Associazione giuriste italiane — e le discriminazioni ivi indicate non hanno più motivo di esistere, erano infatti imposte un tempo dalle condizioni di un lavoro, basato sulla forza fisica, di un costume profondamente diverso. Oggi, con il progresso tecnologico, la fatica è di tutt'altra natura, grava sia sugli uomini che sulle donne, né si vedono ragioni plausibili per conservare nei riguardi delle lavoratrici maggiorenni limitazioni d'orario e divieti di lavoro notturno. Meglio sarebbe procedere ad una più moderna. ed efficace tu-, tela di tutti i lavoratori, in base a criteri di prevenzione e recupero contro il rischio, eliminando ogni discriminazione dovuta al sesso ». Si tratta di speciali cautele, che, fissate un tempo a salvaguardia della salute della donna, si rivolgono contro di lei, se non vengono osservate anche per i lavoratori maschi, dato che la fatica e il pericolo, connessi con alcune lavorazioni, con certi ritmi di produzione, incidono ugualmente su tutte le maestranze. Per il resto si tende all'adeguamento uomo-donna sul piano del lavoro. E' in base a questi principi che si richiede — e qui non tutte le lavoratrici né gli organi che le tutelano sono d'accordo — la stessa età di pensionamento per l'uomo e per la donna- « Il Consiglio di Stato ha ritenuto legittima la distinzione tra 55 anni per la donna, 60 per gli uomini — ha aggiunto l'avv. Zavattaro — ma noi non siamo di questo parere, anche se l'adeguamento delle pensioni porterà un maggior onere contributivo a carico delle lavoratrici. Non vediamo la ragione per cui, tanto più nel settore impiegatizio, la vita lavorativa debba essere diversa fra gli uomini e le donne. Si tratta di una questione di principio, la cui soluzione, se positiva ed estesa ad ogni forma di impiego e di lavoro, apporterà alla donna notevoli vantaggi sia economici che di carriera ». Fra gli interventi predisposti a tenore del lavoro femminile, è allo studio una nuova disciplina giuridica a tutela della lavoratrice madre. Sei sono le proposte di legge, delle quali tre, identiche, ad opera dei sindacati che riguardano le lavoratrici dipendenti da terzi e tre che prevedono la corresponsione di assegni di natalità (centomila lire) alle lavoratrici autonome (artigiane, commercianti e lavoratrici dirette): tutte tendono ad equiparare il trattamento economico per le lavoratrici, al di là di disparità non giustificate dalla qualità e quantità del lavoro. Per risolvere le questioni sorte con la vecchia legge, sono previste altre innovazioni circa il riconoscimento dello stato obiettivo dì gravidanza: la garanzia del mantenimento del posto e della retribuzione anche quando la lavoratrice, a motivo della gravidanza e del puerperio sia adibita a diverse mansioni: il riconoscimento del trattamento di maternità alle lavoratrici disoccupate, quando nel periodo di astensione obbligatoria fruiscano dell'indennità di disoccupo zione. Si tratta di forme di tutela che si spera non incontrino ostacoli in Parlamento, anche perché i nuovi oneri verrebbero mutualizzati per tutti gli imprenditori, non soltanto per quelli che impieghino maestranze femminili, in attesa della realizzazione di un sistema di sicurezza sociale, che dovrebbe far gravare gli oneri della maternità su tutti i cittadini. E' chiaro che una nuova disciplina giuridica per tutelare la lavoratrice madre contribuirà non poco ad abbattere le resistenze che dimostrano gli imprenditori nell'assumere donne.