«La convenienza vieta alla donna le attività esterne che non consistono nell'esibizione delle virtù domestiche e che paiono in conflitto con una buona gestione della famiglia. Può entrare a far parte del consiglio della biblioteca locale o di un comitato per lo studio della delinquenza minorile. Ma non può, senza incorrere nel biasimo altrui, avere un impiego a tempo pieno una occupazione impegnativa. Se lo fa, si dice che trascura la sua casa e la sua famiglia, cioè il suo "vero" lavoro. Cessa pertanto di essere una donna di riconosciuta virtù». Così scrive con ironia e amarezza J. K. Galbraith, il quale trae questa sconsolante conclusione: la condizione della maggioranza delle donne nella nostra società è quella di una « classe criptoservile ».
Sembrino paradossali o no le sue affermazioni (ma ci pare che non lo siano del tutto) un fatto è certo. Negli interventi di alcune persone ascoltate nel corso della nostra rapida inchiesta sul tema la «donna e i diritti civili», si sente l'eco delle parole del famoso economista di Harvard. In termini meno elaborati, ma forse ancora più sofferti, sentiamo una giovane interprete, Nini Andriano. Dice: « Ce la prendiamo con il diritto che non garantisce la parità dei sessi, ma si dimentica che il diritto è il riflesso della mentalità. Occorrerebbe cambiarla, ma è faticoso e scomodo. Educazione e pubblicità hanno condizionato la donna fino al punto di farle apparire quasi come una vocazione il ruolo di angelo del focolare o dell'elettrodomestico. Il resto appare disdicevole ». La professoressa Emilia Bergoglio Cordaro, democristiana, assessore comunale all'igiene ed alla sanità pone la questione in termini meno radicali. Dice che rimane un divario notevole tra quello che la donna dovrebbe e vorrebbe essere e quello che è in realtà. « Le leggi — afferma — garantiscono la parità ad eccezione del diritto di famiglia la cui riforma è all'esame del Senato. Ma la pratica dimostra che la parità non è effettiva e che nessuno aiuta la donna a raggiungerla. Si dà quasi per scontato che certe cose la donna non le sappia fare. E lei stessa a questo punto subisce con una sorta di rassegnazione che e frutto di un lungo condizionamento ».
Secondo l'assessore all'igiene bisogna comunque intendersi sul concetto di parità. In che cosa consiste? Per rispondere « è indispensabile tener conto dì alcuni dati di fondo: ci sono infatti questioni naturali e fisiologiche che delegano alla donna una certa funzione ». Il punto è questo: « Non bisogna strumentalizzare la situazione, come invece è stato fatto. Se la donna deve svolgere una sua funzione questo non significa che le si debbano denegare altri ruoli, dove può esplicar le sue doti e la sua personalità e delegarla soltanto alla conduzione familiare perpetuando i mali tipici di cui la società soffre ». E' necessario comunque equilibrio: « Non dobbiamo operare in senso opposto, spostare 11 concetto nel senso che la donna debba diventare come l'uomo ». Parità quindi non significa identità. Con l'on. Maria Magnani Noya, socialista, il discorso torna alle leggi, ma in senso limitativo « perché la legge da sola non garantisce la parità. La legge può servire da supporto ». La questione fondamentale si chiama « avanzamento, progresso civile, cambiamento di un certo tipo di società capitalista che ha bisogno della donna come manodopera, la utilizza in certo tipo di servizi e finisce con l'emarginarla ». C'è in tutto questo una certa logica: « La nostra società — dice l'on. Magnani Noya — per affermarsi ha bisogno di punti deboli e li ha trovati nella donna ». Naturalmente un suo ruolo lo svolge anche il sistema normativo. Sotto questo profilo è innegabile che « la legge sulla riforma del diritto di famiglia permette la parità. Ma al Senato deve passare nel testo approvato dalla Camera. Purtroppo dc e msi esercitano invece un serrato ostruzionismo, spiegabilissimo per il msi, meno per la dc ». Alda Grimaldi, regista della televisione, dice: «Personalmente debbo riconoscere che ne/ mio la- < voro la discriminazione femminile, di meno in questi ultimi dieci anni, non ha più funzionato; ma per altre attività e professioni e innegabile che ancora oggi, malgrado la Costituzione, essa sia tuttora determinante». Prosegue: «Basti pensare a un settore politicamente avanzato e progressista come il sindacato. Ebbene, le rap- presentarne femminili non sono certo proporzionali al numero del- !l donne lavoratrici e ciò non solo per la maggiore difficoltà che in contro la donna ad intraprendere un'attività politica o sindacale ai causa del doppio lavoro cui normalmente è costretta, ma anche, e forse prevalentemente, a causa del giudizio di incapacità che seppure non sempre chiaramente espresso fa parte del normale bagaglio delle idee maschili». D'altronde, puntare l'indice sulle colpe del maschio non esclude il «riconoscere che la maggior parte delle donne accetta supinamente queste idee e fa troppo poco per raggiungere una propria indipendenza di tempo e di attività». Insomma anche la donna è antidonna n perché non fa nulla per convincere il partner alla divisione dei compiti extra lavorativi che le incombono: la gestione della casa e della famiglia».
La regista conclude: «Il marito a mezzo servizio a lavare i panni, al focolare o a spupazzare il bimbo potrà permettere alla donna di affermare la propria personalità in quel compiti che ancora oggi le sono per lo più proibiti». Laura Castagno Mosso, architetto, ritiene invece che «la battaglia per i diritti civili della donna e per la purità reale fra uomo e donna nella società italiana, deve essere inserita all'interno della lotta per la conquista dei diritti civili reali da parte delle classi emarginate, oggi cosi duramente attaccate nella loro condizione di vita e di sopravvivenza». Spiega: "Sono ad esempio da considerarsi, diritti civili il diritto alla casa, il diritto all'istruzione, quello alla conservazione del posto di lavoro. Agganciandosi a questi problemi concreti, di diritto e di dignità umana e sociale, milioni di donne italiane sperimentano quotidianamente l'impegno per la loro conquista». «Le enunciazioni di parità — aggiunge un'altra intervistata, Mariangela Rosoien, impiegata, dirigente dell'Unione donne italiane — troppo spesso non hanno trovato applicazione concreta, a partire da quella fondamentale scritta nella Costituzione. Questa fu elaborata dalla Costituente: vi furono elette 21 deputate, 11 delle quali facevano parte dell'Udi in rappresentanza di 1O mila donne dei gruppi di difesa che avevano preso parte attiva alla Resistenza. Teniamo conto che Mussolini ave va proclamato: "Nello Stato fascista la donna non deve contare". I cascami di quell'aberrante periodo si trascinano ancora oggi nel codici, ma soprattutto in un modo di pensare e di agire che va oltre il costume». La Rosoien è molto critica con il potere politico: «I governi che si sono succeduti in Italia ben poco hanno fatto per le donne: le grandi conquiste che tuttavia abbiamo realizzato sono state strappate con la lotta: dalla legge di tutela della lavoratrice madre alla parità salariale, dal diritto di ac- cesso a tutte le carriere al divieto di licenziamento per matrimonio. alla legge per gli asili nido eccetera In certe forze politiche ed economiche perdura una caparbia volontà di negare alle donne quella emancipazione effettiva senza la quale nessuna società può dirsi civile. Lo abbiamo verificato con il referendum quando nell'ultimo appello televisivo Fontani ci ha brutalmente riassunto i nostri compiti: supplire con un ruolo familiare subalterno a una serie di servizi che lo Stato vuol continuare a scaricare sulle nostre spalle Ebbene, le donne hanno detto no». Ricordala la battaglia vittoriosa per il mantenimento del divorzio, la Rosoien riafferma l'impegno dell'Udì «contro i ritardi e gli ostacoli frapposti dalla de e dai fascisti alla sollecita approvazione al Senato del nuovo diritto di famiglia; per l'istituzione di consultori di maternità e di igiene sessuale, affinché le donne possano scegliere liberamente quanti figli vogliano e quando li vogliono; per superare la terribile piaga dell'aborto che ogni anno uccide in Italia migliaia di donne». Conclude: «Ci battiamo per affermare il valore sociale della maternità, per una società in cui l'essere umano sia il fine e non il mezzo. Ma occorre una ristrutturazione della società. La cosa più importante èla persona umana. Abbiamo bisogno di scelte politiche ed economiche in armonia con questo obiettivo».