Perplessi gli uomini sul lavoro femminile

Inchiesta del prof. e sociologo Alessandro Pagani sulla percezione dei capifamiglia milanesi rispetto all'emancipazione femminile attraverso il lavoro

Dettagli

Autore
Cesare Medail
Data
4/12/1971
Tipologia
Commento
Testata
il Corriere della Sera
Pagina
15
Periodo
Anni Settanta
Area Tematica
Donne

Occhiello:

Un'indagine fra i capifamiglia milanesi

Articolo:

E' nel XX secolo che le donne, in numero consistente, sono andate a lavorare: qualcuna le ha precedute agli sgoccioli del diciannovesimo, ma erano poche. Se guardiamo, però, l'Italia di oggi, le donne che lavorano fuori casa sono appena un terzo degli uomini pur essendo in maggioranza alla anagrafe. Da noi, inoltre, il livello d'occupazione femminile, fra i. più bassi d'Europa, ha registrato negli ultimi anni una sensibile diminuzione: quasi un milione di donne hanno lasciato fabbriche e uffici per tornarsene a casa. Le cause sono diverse: impiegate e operaie sono le prime a far le spese dei cicli di recessione economica, mentre i servizi sociali che dovrebbero liberarle da certe costrizioni domestiche sono tutt’ora più che insufficienti. Sono dati, economici e sociali, fin troppo conosciuti, ma c'è un altro fattore da non sottovalutare: quanto gioca, nelle scelte delle donne che vorrebbero lavorare, l’atteggiamento degli uomini? Hanno accettato pienamente la immagine della donna indipendente con un'attività fuori dalla famiglia, oppure è ancora radicata in parecchi, vuoi per tradizione, per convenienza o addirittura per insicurezza, l'idea che debba lavorare sì, ma solo in casa?

Una risposta rivelatrice è contenuta nell'indagine condotta per conto della "Demoskopea", una delle maggiori organizzazioni italiane di ricerche, da Angelo Pagani, professore di sociologia alle università Bocconi e Statale di Milano; 151 capifamiglia milanesi, estratti a caso dalle liste elettorali, sono stati chiamati anzitutto a spiegare per quali motivi, secondo loro, tante donne, sposate desiderino lavorare: il 38.4 per cento ha risposto « per mera necessità », il 20.5 per cento 4 per il desiderio d’elevare il proprio tenore di vita ». il 23.2 crede in una « specifica ricerca di indipendenza economica e di vita ». mentre soltanto il 7.9 parla di «esigenze d’affermazione personale e sociale». Sono dati singolari per una città come Milano che, in quanto capitale dello sviluppo industriale, dovrebbe essere la meglio predisposta a ben accogliere l'emancipazione femminile. Secondo i più, invece, la donna lavorerebbe per far quattrini, vuoi per necessità vuoi in vista di maggiore agiatezza, mentre solo per una minoranza cercherebbe nel lavoro l'indipendenza e per una minoranza ancora più esigua l’« affermazione personale». Sembra difficile quindi, per gli stessi maschi milanesi, vedere nel lavoro femminile una ricerca di soddisfazione e successi non diversi da quelli tipici della «carriera» maschile: il che ci sembra, francamente, egoista e reazionario.

Da queste risposte traspare un forse inconsapevole atteggiamento d'autodifesa del maschio di fronte al progredire dell'emancipazione femminile, il che è ancora più evidente dai dati seguenti: il 56.3 per cento degli interpellati dalla « Demoskopea » a risposto di sì a questa domanda: « E’ fondata la preoccupazione che, impegnandosi in una carriera, la donna
trascuri i suoi doveri di moglie e di madre? ». E a questi capi-famiglia la domanda andrebbe rovesciata (visto che l'80 per cento si e poi dichiarato favorevole « alle iniziative che mirano a garantire un’effettiva parità fra i due sessi»: «Può la carriera indurre l'uomo a trascurare i suoi doveri di marito e di padre?». Potrebbe essere spunto per un'altra, curiosa, indagine.

Il 60.3 per cento degli intervistati inoltre ritiene fondata la preoccupazione che la donna, disponendo col lavoro d’una parte autonoma di reddito, pretenda maggiore autonomia rispetto al marito: fin qui nulla da obbiettare, perché è abbastanza ovvio che, portando soldi in casa, la donna pretenda di non essere vassallo nelle decisioni comuni; ma il fatto è che il 57 per cento degli interpellati ritiene un "pericolo" per l'autorità maritale l'eventuale autonomia della compagna.

Dunque, il maschio milanese sarebbe in contraddizione: accetta la parità, ma teme per la sua autorità; e in questo giocano da un lato il rifiuto degli schemi che volevano la donna cittadina di serie B e dall'altro i retaggi, i rigidi organigrammi della famiglia di ieri.

Le percentuali riferire riguardano i dati assoluti dell'inchiesta: il professor Pagani ha ulteriormente suddiviso le risposte secondo la età e il grado d’istruzione degli intervistati. Si è potuto allora rilevare che più favorevoli al lavoro femminile extradomestico, con tutte le sue implicazioni familiari e sociali, sono i minori di 32 anni mentre la percentuale cala progressivamente nei successivi scaglioni (dai 32 ai 43, dai 44 ai 55, dai 56 in poi). Analogo andamento hanno le percentuali relative al grado d'istruzione, partendo dal titolo universitario e arrivando alla licenza elementare.

Insomma, il « primato del maschio » è meno sentito dai più giovani e dai più colti, secondo i quali In donna cerca nel lavoro un'affermazione personale, può accedere a tutte le attività, non trascurerà la famiglia per la carriera, né metterà in discussione l'autorità maschile nella quale, del resto non credono. Si tratta di una minoranza, che con gli anni potrebbe anche cambiare idea. Ma potrebbe anche diventare la maggioranza: e allora, per le donne, questi maschi diverrebbero alleati, anziché antagonisti.